Torno ancora su questo tema perché mi sembra molto importante. Leggo su Punto informatico che alla fine sembra che alcuni provider brasiliani abbiano bloccato l’accesso a YouTube. Trovo che questa situazione sia molto più grave di quella italiana, dato che l’azione degli ISP, sembrerebbe, non è legittimata da alcuna norma. Vorrei però evitare di affrontare il caso particolare e focalizzarmi sui diversi passaggi. Prima di tutto, devo precisare che secondo me se il fatto che un’azione di polizia faccia rispettare una norma è un problema, il problema è la norma e non la polizia. La polizia può essere un problema quando agisce al di fuori o in violazione di una norma. Sia chiaro anche che non sono un giurista, e quindi posso interpretare male le norme. Tuttavia, in quanto cittadino, riconosco che l’ignoranza non è una scusa ma nello stesso tempo ritengo che le leggi dovrebbero essere abbastanza chiare da essere comprensibili e interpretabili da chi cerca di informarsi, dato che si tratta di chi alla fine le deve rispettare. Credo anche che la garanzia di libertà fondamentali non dovrebbe dipendere da interpretazioni che sfuggano alla comprensione del singolo cittadino.
Vediamo adesso il problema, anzi i tanti problemi, che secondo me sono in buona parte separati, in virtù di quanto ho appena detto.
Prima cosa: una norma, la legge 38/06 istituisce un Centro la cui attività di contrasto alla pedopornografia non è legato ai confini nazionali. Questo è un punto importante, con buona pace di chi dice che Internet è come il modo reale. Normalmente le norme italiane decidono cosa si può fare in Italia. Già la normativa sulla pedopornografia, con la parte sul “turismo sessuale“, inizia a normare quello che gli italiani possono fare all’estero, o quello che all’estero può essere fatto a un cittadino italiano. Non so se ci sono altri casi al riguardo. Gli Stati Uniti, se non sbaglio, hanno già leggi su quello che i cittadini non USA possono fare nel proprio paese, magari ci arriveremo anche noi 😉 Però al momento non ne abbiamo, e questo è un punto importante. Da notare che sto parlando del mondo reale, non di Internet.
Arriviamo quindi ad Internet. È chiaro che qui, a differenza del mondo reale, il concetto di confine è una mera convenzione (ok, è una convenzione anche nel mondo reale, ma riconducibile a delle “aree” fisiche). La convenzione credo sia abbastanza chiara per quanto riguarda gli aspetti commerciali, anche perché in fondo affari fra stati se ne fanno da tempo. Secondo questa logica, almeno secondo le leggi italiane, un giudice italiano non potrebbe chiedere il sequestro di un sito all’estero in seguito ad attività che quivi un cittadino straniero compie nei confronti di un altro cittadino straniero, per quanto odiose queste possano essere (nel caso del Brasile, è coinvolta una cittadina brasiliana). Si dovrebbe casomai rivolgere alle autorità di quel paese e chiedere, se hanno una normativa equivalente alla nostra, di applicarla. Viceversa, un’attività di prevenzione, nell’ottica di queste norme, ha titolo per impedire ad un cittadino italiano di andare all’estero per compiere alcuni tipi di reato, quantomeno quelli di “turismo sessuale”. Impedire ai cittadini italiani di accedere a siti di pedopornografia all’estero, molto più che ordinarne il sequestro, sarebbe quindi legittimo. La prima domanda è quindi: il problema “censorio”di cui si discute è legato al fatto che YouTube è all’estero? Sembrerebbe di sì, dato che è stato detto più volte che per i siti italiani il problema non si pone, dato che i provider non hanno mai fatto difficoltà a chiudere i siti segnalati anche prima dell’ordinanza del giudice (cosa che a me sa molto più di censura arbitraria). Che il problema sia legato al fatto che i siti sono all’estero lo suggerisce anche il parallelismo fatto con i siti di scommesse. Tuttavia, mentre con le scommesse l’opposizione sembra essere al blocco in sè (voglio essere libero di andare a scommettere all’estero, dato che fisicamente lo posso fare), per la questione Gentiloni/YouTube il problema sembra essere più la grossolanità del blocco degli IP; non mi sembra che ci sia grande opposizione a che una sentenza italiana ordini il sequestro di materiale all’estero. Questa grossolanità non credo possa contare come “censura”, dato che non c’è l’intenzione di bloccare il resto di YouTube, ma è “solo” un effetto collaterale: i video legittimi sarebbero visibili se su un altro IP. E tuttavia, se vogliamo mantenere il parallelismo con il mondo reale, nessuno si sogna di impedire agli italiani di andare a Bangkok solo perché lì il turismo sessuale che coinvolge minori è la norma: gli effetti negativi che una tale attività di prevenzione avrebbe sulle attività legittime sarebbe eccessiva, anche in rapporto all’efficacia (la prostituzione si sposterebbe in un’altra città). Allo stesso modo, non dovrebbe essere ragionevole bloccare l’intero YouTube, i singoli italiani che violano le norme dovrebbero essere individuati e puniti singolarmente. Ecco, forse il succo del problema è tutto qui: nella ricerca di un equilibrio fra le attività di prevenzione e contrasto e la tutela delle libertà, su Internet sembra più facile sacrificare la seconda, anche quando l’efficacia del blocco è certamente minima. A questo riguardo, nel momento stesso in cui ho letto della notizia del video della brasiliana, lo sono andato a cercare: su YouTube non c’era, ma come è ovvio dopo trenta secondi di ricerca con Google l’ho trovato su un altro sito.
Di nuovo però, non mi sembra corretto prendersela con il recente decreto: il decreto attua correttamente quello che è stato approvato in parlamento dai nostri rappresentanti con la legge 38/06. I quali rappresentanti, per inciso, in questa valutazione di equilibrio fra contrasto alla pedopornografia ed esigenze di tutela delle libertà sulla rete, probabilmente rappresentano correttamente il sentire (e secondo me anche l’impreparazione) dei cittadini.