Ricordate quella storiella del ristoratore che voleva i soldi dal povero che aveva insaporito il pane con il profumo del cibo, e del giudice che lo faceva pagare con il rumore dei soldi? Quella che fino a ieri era saggezza popolare rischia di diventare da un giorno all’altro una grossa sciocchezza. Se da una parte si diffonde sempre di più l’utilizzo di strumenti come PayPal per le attività più varie (e meno virtuali), dall’altra ci si pone il problema di gestire economie interamente “virtuali”, come quelli di Seconf Life. Discutevo questo tipo di problemi alcuni anni fa, quando sembrava che gli strumenti di “moneta virtuale” dovessero avere successo: il problema era che il “denaro” avrebbe fatto la fine dell’oro: se ne sarebbe stato fermo nelle banche “a garanzia” di transazioni che avvenivano in un altro contesto e con altri strumenti, disponibile per una “riconversione” che alla fine non interessava più a nessuno. Poi la moneta virtuale è sparita insieme alle aziende che se ne occupavano, ma non mi stupirei se ritornasse di moda.
Fenomeni di questo tipo dovrebbero portarci a ragionare sulle basi dei meccanismi che utilizziamo: cos’è il denaro e a cosa serve, ad esempio: credo che si arriverebbe rapidamente alla conclusione che i diversi Stati, unici che possono battere moneta (se si dice ancora così), dovrebbero organizzarsi per trovare rapidamente una forma di denaro adatta al contesto. Da quello che si legge invece, il problema sarà affrontato come al solito a spizzichi e bocconi, sotto la spinta di tutele di interessi e mercati, con le tecnologie che si affannano a trovare soluzioni (raffazzonate) per salvare capre degli uni e cavoli nostri.