Recentemente ho letto della difficoltà per gli economisti di inquadrare la disponibilità a “regalare” qualcosa, nel tentativo di descrivere l’open source. Naturalmente, la soluzione semplicistica riduce il tutto all’autopromozione o a qualche concetto affine (o eventualmente alla stupidità, sostenendo che l’open source è un concetto che non sopravviverà), ma chi ha sviluppato codice open source sa che spesso non è tutto lì. Questo articolo del New York Times, molto interessante in generale, affronta un altro concetto che credo creerà dei malditesta, ovvero un’obbiettivo che non è massimizzare i profitti, bensì i benefici sociali. Da notare che sostiene la concorrenza e non è interessato alla beneficenza… e la sua banca non è fallità 😉 Credo che le difficoltà per gli economisti siano solo cominciate. Per quanto riguarda l’open source, l’idea di applicare concetti nati per beni limitati a beni che non solo sono riproducibili illimitatamente, ma che di conseguenza non privano il proprietario di alcunché quando ne cede una copia ad altri, ha portato ad assurdi come molte delle attuali normative su brevetti e DRM.
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Qui sopra il lago di Soraga, Val di Fassa (Trentino, Italia)
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