Informatici in azienda

Negli ultimi tempi ci sono molte discussioni sul ruolo dell’informatica e degli informatici in azienda. Lo testimoniano, fra l’altro, la frequenza degli interventi di Cubasia su Punto Informatico, o meno italianamente post come questo di Cringely, ma anche in fondo l’attenzione (fra noi informatici) all’IT Governance. È proprio l’articolo di Cringely che mi ha spinto a queste riflessioni sulla questione, che una volta sfrondata di tanti giri di parole si può riassumere in due domande: “Perché, se l’IT è diventata così importante per il funzionamento dell’azienda, questa sua importanza non le viene riconosciuta, ad esempio con un ruolo meno subordinato del CIO?” e “Perché se l’informatica è così importante l’informatico è sottostimato e spesso sottopagato (particolarmente in Italia, a quanto pare)?”.

Si tratta di una questione complessa, almeno per me che sono appunto un informatico e di gestione aziendale ne so poco. Mi limito appunto a qualche riflessione. L’articolo di Cringely sul CIO che non fa carriera mi ha riportato in mente un articolo su una vecchia rivista che, dopo una faticosa ricerca, ho ritrovato. Faticosa per via del peso dello scatolone che ho tirato giù da un armadio. Si tratta infatti del n. 2 della rivista ZeroUno, datato marzo 1982, e il titolo è “Perché il manager EDP non fa carriera”. No, non è che mi ricordi tutte le riviste che ho letto negli ultimi venticinque anni, è che per qualche motivo già allora quell’articolo mi aveva colpito e mi è rimasto impresso, e dato che è in uno dei primi numeri della rivista è fra quelli che ho conservato. L’articolo è firmato da una certa Janet Crane ed è probabilmente la traduzione di un articolo scritto negli USA dal titolo:”MIS: a starring role at last?”. Dice sostanzialmente che il personale EDP (sì, c’è qualche trermine un po’ desueto) è felice di starsene chiuso nel datacenter, ben pagato “perché avere a che fare con le macchine è più facile”, senza aspirare ad incarichi di dirigenza, ed è bloccato dalla sua immagine di tecnico con una conoscenza limitata dei problemi aziendali. Anzi, sono i dirigenti provenienti da altre funzioni aziendali che arrivano ad assumere la dirigenza dell’elaborazione dati. E il ruolo dei dirigenti EDP in azienda? Cito:”L’informatica è una delle basi della gestione aziendale del futuro, afferma un dirigente, ma noi non siamo tra i membri della direzione“. Ci sono altri punti che meriterebbero di essere citati, come l’inefficienza del datacenter “nascosta” dalla rapida evoluzione delle tecnologie, portata anche a scusante del fatto che i problemi vengono affrontati principalmente comprando le ultime novità del mercato (tema che si ritrova nel precedente articolo di Cringely). Oppure frasi come “Ci siamo nascosti dietro l’alta tecnologia e il cambiamento tecnologico. Invece dovremmo uscire allo scoperto e cercare di controllarlo: dopotutto siamo pagati per questo, per la gestione del cambiamento. La programmazione e le tecniche di programmazione devono focalizzarsi su quello che sarà il sistema aziendale da qui a qualche anno, su come creare una tecnologia e un ambiente umano adatti a quel futuro. Le esigenze del sistema aziendale sono la forza motrice: il cambiamento della tecnologia e dei comportamenti è la risposta del manager a queste esigenze“. IT Governance?

Insomma, a parte i termini sembra di sentire i discorsi di oggi. Con una differenza. Se è ancora vero che l’informatico ritiene il proprio lavoro in qualche modo unico (termini dell’articolo di ZeroUno, ma dice anche Cringely: Since the early mainframe days there has been a priesthood of sorts in corporate computing), adesso in più IT organizations often disrespect users and users often disrespect IT. In più, il professionista IT non è più strapagato come una volta. E questo ultimo punto, alla fine, è quello che fa nascere le discussioni.

La mia (personalissima) opinione ha appunto una prospettiva storica, che però ha come base questa continua tendenza e tentazione dell’informatico di sentirsi in qualche modo diverso e unico, e di usare la tecnologia per giustificarsi da una parte, e per promuovesi dall’altra.

Ai tempi dell’articolo di ZeroUno, l’IT era felice di starsene chiusa nei datacenter, e la cosa non le creava problemi, perché i professionisti erano ancora rari e ben pagati; e qui i professionisti dell’IT hanno perso la loro prima occasione. Con gli anni novanta è arrivato il vero cambiamento: l’informatica è (ri)esplosa, ha invaso ogni aspetto e processo dell’azienda. Nel periodo della bolla della new economy, sembrava che il mercato sarebbe riuscito ad assorbire un numero illimitato di professionisti anche con competenze infime a costi astronomici. La nascita delle società più assurde, strapagate, gli investimenti in qualsiasi cosa che sapesse di informatica hanno consolidato la sensazione degli informatici di essere “diversi”. Non interessavano i contratti o le tutele sindacali, quelle erano cose per gli altri, i “deboli”. Il professionista dell’IT si faceva ricompensare in stock options, perché il suo interesse era quello dell’azienda, e la crescita aziendale era una cosa alla quale lui avrebbe partecipato in modo determinante. E qui ha perso la sua seconda occasione, perché poi la bolla è scoppiata, lasciando sul terreno la maggior parte di quelle aziende assurde, e riportando bruscamente il professionista IT con i piedi per terra. Molto bruscamente, perché il “risveglio” per le aziende ha voluto dire una reazione a base di tagli fortissimi agli investimenti in IT, fallimenti di aziende dell’IT anche buone e non certo sopravvivenza delle migliori; molti di quei professionisti si sono trovati come Lucignolo nel paese dei balocchi: da un mondo di luci e di giochi a somaro che tira la carretta, magari con paghe e trattamenti da operatore di call center. Si sono spesso addirittura trovati peggio degli “altri” lavoratori, perché l’egocentrismo stimolato dalla bolla della new economy ha impedito non solo la formazione di una vera categoria professionale, ma anche la semplice integrazione con quelle esistenti. In fondo, buona parte dei problemi di cui parla Cubasia si possono ricondurre a questo impegno profuso negli anni dall’informatico nell’isolarsi dal resto dell’azienda. Ma non è certo servito a far imparare qualcosa all’informatico tipo: continua a chiamare utonti gli utenti, continua a ritenersi diverso (questa posizione si riconosce quando si vedono commenti sul tono: “Ma quali problemi, basta essere bravi informatici e i problemi si risolvono, senza tante storie sui contratti e simili.”). E soprattutto, continua a credere che le aziende caschino ancora nel giochino della tecnologia. “Se l’informatica si fermasse, si fermerebbe l’azienda. Perché non lo capiscono e non danno all’IT il ruolo che le spetta?”. E qui il professionista dell’IT sta perdendo la sua terza occasione. Perché prima di tutto in azienda il ruolo e i soldi vengono dati a chi se li conquista attraverso il suo potere contrattuale, ad esempio perché porta i soldi (il marketing). E soprattutto, la tecnologia non ha nessuna importanza. L’azienda si fermerebbe se si fermasse l’informatica? Bene, si fermerebbe anche se se ne andasse l’elettricità, ma non per questo gli elettricisti vengono fatti dirigenti. L’informatica non è come l’impianto elettrico? Certo, è più complicata, ma è comunque vista come un’utility, che al più quando non funziona causa problemi. Ricordo una recente chiacchierata con un luminare (economista) della gestione dei sistemi informativi, e quello che ha risposto alla mia domanda su quanto si sente dire ogni tanto a proposito del’IT Governance, che l’IT dovrebbe essere più propositiva riguardo ai processi di business aziendali. La risposta è stata sostanzialmente che quella è una cosa che si racconta all’IT per farla contenta, ma che se l’IT riuscisse semplicemente a stare dietro ai cambiamenti aziendali senza creare problemi sarebbe una bella cosa. Non che io sia completamente d’accordo con questa posizione, ma certamente rende bene l’idea del ruolo attuale dell’IT. Bene, se c’è qualcosa di diverso sta all’informatico dimostrarlo, non all’azienda capirlo; e perché l’IT sia altro che un’utility, l’informatico deve capire realmente l’azienda, interagire con l’azienda a tutti i livelli. Ho letto in questi giorni che poche aziende hanno un CIO, in realtà la maggior parte ha un IT Manager, sottolineando con questo la differenza fra chi si è realmente integrato nella gestione dell’azienda e chi è semplicemente un “sistemista evoluto”. Mi sembra molto vero: se l’informatico vuole avere un ruolo diverso deve diventare realmente parte dell’azienda. E prima di tutto, l’informatico deve imparare a parlare con il personale dell’azienda: con i dirigenti ma anche con i colleghi. Colleghi, non utonti.

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